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Scritto
dai maggiori testimoni delle trasformazioni di questa fine millennio, Frontiere indaga la complessità del mondo moderno raccontando sei
città simbolo, inusuali “frontiere”: Calcutta (o Bombay per un gioco
d’opposizioni e, insieme, di specchi), Gerusalemme, San Francisco,
Sarajevo, Berlino e Londra. Città
come metafore, naturalmente. Cariche di tensioni sociali, di contrasti, di
ipotesi diverse di soluzione delle questioni che le travagliano e,
metaforicamente appunto, travagliano tutti noi. “Proprio
mentre le frontiere accentuano il loro ruolo di luoghi permeabili del
confronto e della ricomposizione, di filtro che fa decantare le tensioni e
passare le sintesi, guai a pensare che le frontiere siano scomparse, le
distinzioni annullate. Tutt’altro. Nuovi conflitti, nuovi squilibri
prendono corpo, nuove tensioni agitano il mondo. (…) Le frontiere, quei
luoghi ambigui o quantomeno ambivalenti che simboleggiano separatezze e
commistioni, conflitti e scambi, mescolanze di interessi e di linguaggi
sono sempre meno geografiche, insegna Clifford. E i confini – di scelte,
costumi, comportamenti – attraversano la nostra quotidianità e sono
evidenti in un aeroporto, in un museo, perfino in un grand hotel”
(Antonio Calabrò). “In questa prospettiva, la nozione tradizionale di confine, se non perderà ogni significato, sarà destinata a modificarsi profondamente. Stiamo assistendo alla fine di un concetto millenario, così come si è trasformata la nozione di razza, così come stanno confondendosi le definizioni di natura, normalità sessuale, e persino di guerra” (Umberto Eco). Notizie biobibliografiche su Gianfranco Bettin, Angelo Bolaffi, Pedrag Matvejević |
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