19 dicembre 2001 mercoledì
ore 17.00
PALAZZO DEI CONGRESSI Auditorium - VIA
CENNINI (P.ADUA 5) - Firenze
www.leggerepernondimenticare.it
Sergio
Staino
Il Romanzo di Bobo Introduzione di Antonio
Tabucchi
(Feltrinelli 2001)
Introducono:
Sergio Cofferati e Francesco
Guccini
“Come
Keaton o Chaplin anche Bobo è un uomo fiero, dignitoso, cavalleresco,
provvisto di buoni ideali, un po’ donchisciottesco, e si trova ad
affrontare una realtà meschina e deludente, fatta di quella quotidianità
che il nostro attuale ci fornisce: l’emarginazione, il razzismo, la
perdita dei valori, certi ideali che la new economy si è ingoiata in un
boccone, la pochezza di una classe politica, l’italica furbizia, il
cinismo imperante. La buccia di banana su cui scivola il povero Bobo
attraversando pieno di buone intenzioni la via del nostro presente si
chiama in primo luogo Italia, e in secondo luogo il Partito di cui
continua a essere un fedele quanto disorientato supporter (…) Visto ciò
che sappiamo senza sapere, e dati gli attuali programmi scolastici Bobo è
un prezioso servizio pubblico. Le nuove generazioni, per studiare la
non-storia recente del loro paese, in attesa d’informazioni esatte che
tardano a venire e che probabilmente non verranno mai, possono intanto
documentarsi con il Bobo di Staino”. (Dalla prefazione di Antonio
Tabucchi).
“Il
romanzo di Bobo va preso sul serio, perché come tutti i grandi romanzi (è
“narrativa disegnata - rivendica
Staino riprendendo la definizione coniata per il fumetto da Hugo Pratt –
ma è narrativa”) ha due pregi, racconta e anticipa: una cronaca
politica della quale coglie difetti, gigionismi e narcisismi, decisionismi
e indugi (…) e una società civile (si fa per dire): quella delle
lucciole senegalesi, albanesi, slave, che illuminano le notti fiorentine,
quella dell’emarginazione e
dei barboni, quella del razzismo e dell’indifferenza” (Renato
Pallavicini, L’Unità 19.05.2001).
“Il
romanzo di Bobo raccoglie molte storie pubblicate sul quotidiano
L’Unità dal 1997 alla chiusura del 2000, ed è strutturato in cinque
capitoli dai nomi un pò astratti e metafisici. Non fa ridere. Torce lo
stomaco, indigna e qualche volta persino commuove. Che è meglio” (Filippo
Mazzarella, Corriere della Sera 13.07.2001).
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