Prefazione

Un fondo "Istria Fiume Dalmazia" a Firenze ha un significato non solo culturale ma anche storico tutt'altro che trascurabile, che rinvia in modo immediato all'età del risorgimento e alla splendida stagione vociana. Come non pensare, infatti, nel momento in cui la Biblioteca comunale centrale del capoluogo toscana e le associazioni degli esuli promuovono congiuntamente la costituzione di una raccolta bibliografica specializzata sulla civiltà fiorita lungo la sponda orientale dell'Adriatico, a una figura emblematica come quella del dalmata Tommaseo, che passò tanti anni a così importanti nella sua biografia intellettuale, nella città del Giglio, cooperando attivamente all'impresa della "Antologia" del Vieusseux, che aveva istituito, tra l'altro, non casuali relazioni con la Trieste di Domenico Rossetti e con la Società di Minerva da lui fondata, e svolgendo un'intensa e proficua opera di raccordo e di mediazione spirituale tra la toscana e l'area adriatica, facendo conoscere in Italia i frutti migliori della vita intellettuale della regione natia e del suo vasto e complesso retroterra illirico?

In tale prospettiva, inoltre, non è possibile neppure ignorare quale sia stato l'apporto degli scrittori giuliani - Slataper, i due Stuparich, solo per citare i nomi più noti - all'esperienza della rivista diretta da Prezzolini, che non a caso avrebbe dedicato non poco spazio alle questioni politiche adriatiche negli anni a cavallo della Grande Guerra, un filone, questo, all'inizio degli anni Ottanta adeguatamente documentato da una memorabile mostra fiorentina, il cui catalogo in due tomi resta tuttora un insostituibile strumento di lavoro. Né sembra fortuito il fatto che, in sintonia con questa benemerita ulteriore iniziativa, l'anno scorso sia stato organizzato un convegno sul Tommaseo, rivelandone l'opera di collegamento tra l'Italia e l'altra sponda adriatica, mentre ora se ne prepara uno su Giani Stuparich, entrambi dovuti a una proficua cooperazione tra il Gabinetto Vieusseux e le istituzioni della diaspora giuliana e dalmata postbellica. Richiamandosi in maniera più o meno esplicita a tali illustri precedenti, la costituzione di uno specifico fondo librario in materia riprende e sviluppa nel modo migliore tale gloriosa tradizione, confermando, da un lato, il ruolo primario in ambito culturale di una città come Firenze e, dall'altro, la vitalità e la persistenza di quella che si può ben definire la civiltà adriatica orientale, duramente provata dalla catastrofe bellica del 1943 - 1945, ma dimostratasi capace di risorgere e di esprimere ad alto livello in tutti gli ambiti della vita morale e artistica nazionale.

Le note bibliografiche che seguono sono una testimonianza eloquente di tali doti di ripresa e di recupero in termini e qualitativi e quantitativi, perché, a scorrerle, ci si rende rapidamente conto che, pur in condizioni difficili, se non spesso ostiche, la comunità degli esuli è riuscita a fornire apporti notevoli in termini intellettuali alla madrepatria, tenendo vivo il ricordo di una storia plurisecolare, che è parte integrante di quella svoltasi di qua dall'Adriatico.

Dopo che per quasi cinquant'anni per ragioni di natura in prevalenza politica e ideologica, la Venezia Giulia, Fiume e la Dalmazia sono state quasi rimosse dagli orizzonti mentali degli italiani, le clamorose vicende del biennio 1989 - 1991, accompagnate alla dissoluzione della compagine federale jugoslava, hanno fatto sì che vicende che parevano sepolte per sempre e destinate all'oblio si riproponessero con forza all'attenzione dell'opinione pubblica, degli studiosi e della classe dirigente nazionale, provocando un ripensamento complessivo d'asse, una vera e propria revisione storiografica e una nuova e ragionata attenzione a ciò che sul versante spirituale e letterario in senso lato il mondo giuliano e dalmata in esilio aveva saputo elaborare per tener desta la memoria della storia patria nelle sue diverse manifestazioni e articolazioni, mentre si veniva scoprendo pure la realtà dei "rimasti" nelle terre dovute cedere, in seguito al trattato di pace del 1947, alla Jugoslavia comunista di Tito.

Così nell'ultimo decennio s'è finalmente assistito al delinearsi di un interesse per siffatti temi pure da parte dell'editoria più prestigiosa, come attesta la pubblicazione da parte di Sellerio di racconti autobiografici di Nelida Milani, componente di spicco della comunità nazionale italiana in Istria, per l'esattezza in quella croata, o già prima, per merito di Einaudi, delle belle memorie fiumane e triestine di Marisa Madieri, mentre più di recente Frassinelli ha dato alle stampe Bora, un testo in cui la Milani e Annamaria Mori, giornalista originaria di Pola, ma trasferitasi ancora bimba con la famiglia in Italia per evitare di dover vivere sotto lo spietato regime nazionalcomunista titoista, mettono a confronto i loro itinerari esistenziali di qua e di là dal confine che ha brutalmente separato I'Istria dalla patria, con tale dialogo provocando poi l'intervento dell'esule fiumana Clara Castelli, apprezzata studiosa dalla storia dell'Europa centroorientale, che in articoli giornalistici ha aggiunto pure la propria esperienza e le proprie riflessioni in merito, dando alimento a un originale dibattito a distanza a più voci, emblematico del nuovo clima che s'è venuto instaurando negli ultimi anni tra i due tronconi della società istriana e dalmata, dato che per decenni tra coloro che se ne andarono e coloro che rimasero vi fu, a parte rare eccezioni, incomunicabilità totale e contrapposizione radicale. Il graduale superamento di tale frattura e i sempre più frequenti tentativi di ricomposizione di una così dolorosa lacerazione, evidenti sul piano politico e sociale, sono percepibili in modo palmare anche nel catalogo che segue a queste sintetiche note introduttive.

In esso, infatti, è dato rinvenire gli uni accanto agli altri, disposti in ordine rigorosamente alfabetico, autori di entrambe le parti e istituti e centri di ricerca operosi sull'uno e sull'altro versante del confine, cui si davano pubblicazioni di elevato valore scientifico, che consentono di ripensare fuori da antichi stereotipi e pregiudizi i vari aspetti, momenti e figure della civiltà adriatica nelle sue molteplici componenti.

Benché i titoli presenti per ora nel Fondo siano ancora scarsi rispetto alla mole di materiale edito in argomento prima e dopo il secondo conflitto mondiale - ma il loro numero va crescendo di mese in mese grazie a generose donazioni e a intelligenti acquisizioni, che ne faranno un luogo privilegiato di riferimento per chiunque intenda occuparsi di siffatti argomenti -, anche da una rapida scorsa d'essi emerge, intanto un dato significativo: la cospicua presenza di voci femminili nell'ambito memorialistico, saggistico e narrativo, che non deve, peraltro, sorprendere troppo, solo che si pensi a personalità di rilievo del passato quali la Gemma Harasim e le istriane Giuseppina Martinuzzi e Lina Galli, poetessa di vaglia scomparsa non molti anni fa, prove inoppugnabili che una società in apparenza periferica e arretrata come quella di cui in questa sede si ragiona, era già tra Otto e Novecento aperta e dinamica quanto e forse più, di quella di altre regioni anche dal punto di vista della storia di genere.

Custodi del focolare e delle memorie domestiche, le donne istriane hanno saputo svolgere in maniera efficace la loro funzione di gelose tutrici dell'identità comunitaria anche tramite una scrittura sovente di elevata qualità stilistica e sempre animata da una risentita e innegabile passione civile, che non trova troppi riscontri, crediamo, in percentuale nella letteratura al femminile nazionale dell'ultimo dopoguerra. Una sia pur cursoria lettura delle voci catalografiche, poi, consente di cogliere un'ulteriore rilevante peculiarità del panorama editoriale "adriatico", vale a dire la recente fioritura di istituzioni culturali di pregio, che hanno fatto compiere un salto di qualità alla produzione culturale. Mentre fino agli anni Ottanta sono prevalse iniziative episodiche, non progettate secondo un preciso disegno e un articolato programma, dando alle stampe quanto veniva offerto da singoli studiosi più o meno dilettanti, da allora in poi il quadro è venuto rapidamente modificandosi per merito di nuovi centri d'indagine specialistica.

Se per un verso il Centro di ricerche storiche di Rovigno, fondato alla fine degli anni Sessanta, s'è imposto come una realtà di rilievo scientifico in campo storiografico non solo a livello regionale varando riviste e collane di fonti e monografie orami ricche di numerosi titoli di qualità, per un altro una funzione analoga sono venuti assumendo pure l'Istituto regionale per la cultura istriana (IRCI) e l'Istituto Giuliano di storia, cultura e documentazione, che hanno al loro attivo un numero cospicuo di pubblicazioni, risultato di meditati piani di lavoro, miranti ad affrontare in modo organico le questioni di fondo della storia istriana, fiumana e dalmata dall'antichità ai giorni nostri, indirizzando e sollecitando i ricercatori a muoversi su ben definiti temi e problemi, svolgendo, inoltre, un'importante funzione di raccordo e collegamento con il mondo accademico e con la storiografia, per così dire, istituzionale, saldando una frattura che non aveva ragion d'essere e che nuoceva agli uni e agli altri.

A fianco di questi nuovi enti compaiono pure società, come quella dalmata di storia patria, che, entrate in crisi in seguito alla diaspora, sono poi risorte grazie alla generosa iniziativa di vecchi e nuovi soci, riprendendo a poco a poco a svolgere la loro meritoria opera, oggi essendo giunte a conquistare una posizione di rilievo a livello nazionale per serietà e ampiezza dell'impegno profuso pur nella cronica assenza di mezzi finanziari che ha sempre caratterizzato tali sodalizi, grazie allo sforzo inesausto dei quali così come di singoli "dilettanti" - termine qui inteso nella nobile accezione settecentesca di non professionisti della ricerca - oggi possiamo contare su una bibliografia molto vasta in relazione ai diversi ambiti della civiltà adriatica.

A parte la copiosa memorialistica, sempre utile per cogliere mentalità e climi psicologie sociali della tragedia dell'esodo, si può notare che in particolare nel periodo più recente ci si è sforzati di fornire strumenti propedeutici, guide e introduzioni o profili generali della storia civile e culturale - un esempio per tutti la storia della letteratura istriana di Bruno Maier - da poter proporre a chi non sia di queste regioni di frontiera e poco o nulla sappia del loro passato e del loro presente, ma anche alla scuola, dopo che diverse e opportune circolari ministeriali hanno consentito una maggior flessibilità dei programmi, dando pure spazio alle storie locali e, in particolare, allo studio del Novecento, il secolo in cui si sono consumate le vicende più dolorose del confine orientale.

Quello che, in sostanza, si può percepire è che negli ultimi tempi le associazioni e gli istituti della diaspora hanno compiuto uno sforzo non indifferente per liberarsi da un'impostazione meramente nostalgica e moralistica o deprecatoria, autoreferenziale, ideando nuovi strumenti di comunicazione - si vedano i periodici che numerosi sono fioriti con un taglio diverso rispetto al passato - e impegnandosi a raggiungere un pubblico più vasto, al quale si mira a presentare un discorso più criticamente fondato e più ampio, che spazia finalmente fuori dalle strette del 1943 - 1947, dilatando l'indagine su una più estesa griglia cronologica, l'unica, in effetti capace di dare compiutamente ragione pure delle pagine più luttuose, che sono quelle a noi più vicine nel tempo, e allargando l'orizzonte geografico dalla dimensione localistica al contesto italiano e a quello internazionale, di cui la vicenda regionale è solo un aspetto particolare, per quanto peculiare e illuminante.

L'esame della composizione del Fondo, infine, consente di rilevare la varietà e molteplicità di approcci a quelle complesse realtà che sono Istria, Fiume e Dalmazia. I materiali qui raccolti vanno, infatti, dalla storia vera e propria alla letteratura (poesia e prosa), dalla religione all'arte, dalla musica colta a quella popolare, dall'antropologia al folclore, dall'economia alla politica, dall'archeologia alla linguistica - più in particolare alla dialettologia -, definendo un profilo assai mosso e variegato di tale società, alla cui ricostruzione hanno collaborato, e continuano a cooperare, sia studiosi locali sia d'altre parti d'Italia, a conferma della sprovincializzazione del discorso in materia, benché la componente giuliana e dalmata resti dominante.

Chi voglia, dunque, conoscere questo mondo ha ora a sua disposizione numerosi idonei strumenti, che vanno dalla divulgazione al contributo scientifico, dall'indagine documentaria all'elaborazione narrativa, e certo difficile sarebbe intendere la multanime storia di queste terre trascurando l'apporto che alla sua comprensione ha saputo dare con i suoi scritti letterari e saggistici Fulvio Tomizza, la maggior parte delle cui opere è presente nel catalogo, che da esse viene considerevolmente arricchito, perché l'autore della trilogia istriana è senza dubbio una delle voci più alte e nobili di tale cultura, che ha saputo trascendere la contingenza e l'ottica campanilistica per elevare a una dimensione più generale, se non proprio universale, la condizione dell'uomo di frontiera, facendo di quello istriano un caso di studio emblematico di una più complessiva situazione sociale, politica e antropologica, oltre che storica.

Certo, molte sono le lacune presenti nella bibliografia raccolta finora a comporre questo prezioso Fondo - solo per rimanere in ambito letterario non è possibile trascurare un Pier Antonio Quarantotti Gambini o un Vegliani, avere un Bettiza e non un Brazzoduro -, che nel tempo dovrà essere sostanziato di ulteriori consistenti integrazioni in tutti i settori disciplinari, dal momento che esso è sorto grazie a generose donazioni tese a costituire un punto di riferimento culturale ad ampio raggio in una sede qualificata e prestigiosa come quella fiorentina, centrale da ogni punto di vista, senza che, all'inizio, vi fosse una coerente e consapevole idea di biblioteca "adriatica", tutto ciò sicuramente verrà. Importante, però, è che si sia iniziato, ponendo mano a un'impresa d'indubbio significato e morale e scientifico, intanto fornendo una prima serie di sussidi e di orientamenti, una campionatura abbastanza indicativa di quello che sono il panorama bibliografico in materia e la produzione media di un certo mondo, troppo a lungo trascurato o posto ai margini della vita culturale italiana, che, invece, anche solo dallo spoglio di questa nutrita serie di base di schede dimostra di aver avuto qualche cosa di importante da dire e di averlo saputo fare con dignità e di frequente pure a livelli decisamente elevati.

I Tommaseo, gli Stuparich, i Tomizza, le GalIi e le Milani, i Valiani e i Mittner, non sono dei fiori rari, sorgenti nel deserto e dal nulla; alle loro spalle e attorno a loro c'è sempre stata e continua ad esserci una società viva e vitale, che nonostante le percosse della storia vuole continuare a far sentire la propria voce, esprimendosi in modo più o meno elevato ma sempre sincero e appassionato e riuscendo a superare comunque le difficoltà d'ogni genere di cui è costellato il suo cammino.

Sradicata dal territorio primigenio, questa cultura ha saputo attecchire e sopravvivere anche altrove, perfino fuori dalla madrepatria, nutrita da un amore indefettibile e da una memoria indelebile della terra natia. Ora Firenze, culla di quella civiltà italiana cui istriani, fiumani e dalmati hanno sempre attinto copiosamente e città alla quale essi hanno guardato, insieme con Roma e Venezia, come a una stella polare, le offre un'ospitalità che è il più esplicito riconoscimento del suo valore e della sua importanza e che le consentirà di svolgere ancora meglio il suo compito di tutela e valorizzazione di un inestinguibile patrimonio spirituale.
 
 

Fulvio Salimbeni
Università di Trieste.
Dipartimento di Scienze Geografiche e Storiche