Sul filo della memoria

…case dov’erano nati, case in cui era successo qualcosa, anzi in cui una storia c’era stata,
ma non c’era più nessuno a conoscerla o a ricordarla,
case condannate ad essere mute…
Anna Maria Mori, Nelida Milani, Bora


Lo speciale rapporto che, almeno tra l’età del Risorgimento e la stagione vociana degli Stuparich e degli Slataper, ha legato la cultura di lingua italiana dell’Istria e della Dalmazia a Firenze è talmente noto da essere divenuto ormai un topos della nostra storia letteraria. Non a caso Fulvio Salimbeni, in apertura a questo catalogo, lo ritiene il motivo più profondo e convincente dell’istituirsi di un fondo librario e documentario intitolato "Fondo Istria, Fiume e Dalmazia" nella Biblioteca Comunale Centrale di Firenze. Vi sono raccolte –come dice Lucio Toth nel suo saluto introduttivo- "sia opere di carattere scientifico sulla geografia, l’ambiente naturale, la storia giuridica, economica e artistica di queste regioni, sia opere letterarie di autori originari di esse o che a quei luoghi si riferiscono, sia opere della cosiddetta letteratura dell’esodo".

Questa realtà è destinata a giovare, almeno nelle nostre intenzioni, alle comunità istriane di qua e di là dagli attuali confini geopolitici, ma anche alla città di Firenze e al suo ruolo culturale. Dobbiamo essere grati ai rappresentanti dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che per primi ne hanno avuto l’idea –fin dal convegno dell’anno scorso su Niccolò Tommaseo- e più di tutti si sono impegnati nella complessa opera di reperimento, attraverso la dispersa comunità istriana e dalmata di lingua italiana, dei materiali documentari e bibliografici che hanno dato vita a questo primo nucleo ancora ristretto ma ricco di promesse. E forse proprio Niccolò Tommaseo dovrebbe essere prescelto a nume tutelare e figura simbolica dell’inesausta tendenza della cultura dalmata e istro-veneta a gravitare su Firenze, per quella complessa dialettica tra centro e periferia che contraddistinse la sua opera e la sua personalità e che lo rese tanto più amante del "centro linguistico" (Firenze) quanto più era legato all’amore e alla nostalgia della sua "piccola patria" dalmata, al culto della poesia popolare e dialettale della sua terra, non solo come espressione dei sentimenti storici e collettivi di un popolo, ma anche come fonte di creatività linguistica; a vagheggiare incantato la lingua eletta e "aristocratica" del centro, senza rinnegare in nulla le proprie radici autoctone nella terra di confine in cui era nato: come se, proprio da questa polarità tra centro e periferia, ricevesse forza e vitalità la sua (la nostra) identità culturale, affettiva e umana.

Ma se la "piccola patria" istriana e dalmata non ha mai mancato, fra traversie e delusioni, di guardare fiduciosa verso l’immagine consolatoria e rassicurante della nostra città, intesa come paradigma della madre patria, lo stesso non si può dire sia avvenuto da parte nostra: da qui, dal "centro". Anzi, bisogna riconoscere che proprio nella feroce seconda metà del secolo che si è appena chiuso, lo sradicamento e la cancellazione delle popolazioni istriane e dalmate di lingua italiana si sono consumati nell’indifferenza, nel silenzio impotente o nella interessata dimenticanza da parte dei più. Solo oggi, in questi tristi dopoguerra balcanici che sembrano destinati a succedersi senza fine, la vicenda antesignana degli italiani di quelle terre sembra assumere (con la sapienza di poi) il valore di un monito, allora sottovalutato, di quello che sarebbe accaduto: l’irrompere -sulla scena delle atrocità planetarie (dopo il reduce delle guerre di massa, dopo il sopravvissuto dei campi di sterminio)- della figura del profugo, di colui che non ha un luogo e quindi non ha né parola né identità.

In Istria, oggi, molti luoghi paiono essere senza parole perché non c’è più la lingua di coloro che li hanno costruiti e perché anche quei pochi che sono rimasti, sono restati senza parola: muti e profughi anch’essi in terra natìa, che è forse l’esperienza più straniante e dolorosa. E’ proprio questa comune condizione di profugo che –per dirla con la Mori e la Milani- ha assimilato "i due grandi eserciti di umanità diversamente e ugualmente vinta e disperata: l’umanità definita dei rimasti e quella degli andati": due parti contrapposte di un’identica sofferenza, che si sono a lungo accanite e divise tra loro, mentre erano riunite dall’aver perduto -sia pure in modo diverso, ma parimenti irreversibile- la loro patria comune.

Assume dunque un valore fortemente simbolico che questo catalogo veda uniti come donatori i rappresentanti delle diverse componenti della diaspora, di qua e di là dal confine: l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, l’Istituto Regionale per la Cultura Istriana, l’Università Popolare di Trieste insieme al Centro di Ricerche Storiche di Rovigno e all'Assessorato alla cultura della Regione Istriana, solo per citarne alcuni.

E’ anche riannodando questi legami che si può contribuire modestamente a porre le condizioni per cui un giorno, in quei luoghi ora muti tornino a risuonare, in pace, le parole e la lingua di coloro che li hanno costruiti: degli abitanti scomparsi. Perché solo in tal modo quei luoghi ritroveranno il senso che è loro proprio e quelle terre confermeranno la loro vocazione originaria di culla dell’Europa: non sedi della contrapposizione violenta tra identità "pure" e totalizzanti, ma della convivenza e della fusione delle differenze e delle eterogeneità.

E se questo sarà solo un sogno, avremo almeno offerto un risarcimento, certo inadeguato e per ora soprattutto simbolico, per un silenzio e un oblìo che hanno gravato in modo insopportabile. Mentre spesso di fronte alle tragedie, la vita tende a reagire con la sospensione delle emozioni, o addirittura a ritirarsi nel silenzio, il passato grida il suo "diritto" a esistere, a farsi ascoltare. Ma quando verrà a spegnersi la narrazione orale, solo la scrittura farà rivivere "la voce" di quel popolo. Resta allora il dovere comune di far sì che le vicende recenti delle popolazioni di lingua italiana che un tempo abitarono in Istria e in Dalmazia non siano rimosse dalla storia d’Italia, ma abbiano diritto, al suo interno, a una parola di verità che valga come monito per tutti: per imparare a non dimenticare.
 
 

Stefano Mecatti
Dirigente del Servizio Biblioteche e Archivio