BIBLIOTECA COMUNALE CENTRALE

LASCITO DAVIDSOHN

Due inediti del suo lascito fiorentino

Presentazione

Robert Davidsohn tra cronaca e storia



Scrivere di storia vuol dire anche raccontare delle storie

Carlo Ginzburg

Se c'è un libro di storia che ancora oggi si presenta fresco e vitale alla lettura per la sua capacità di far rivivere un'epoca -quella di Firenze e dell'Italia tra XIII e XIV secolo- e di far interagire tra loro documenti dispersi e svariatissimi secondo un metodo che poi si sarebbe chiamato "interdisciplinare", questo è la Storia di Firenze di Robert Davidsohn. A riprova della perdurante attualità di questo testo c'è da aggiungere che, quando lo scrisse, le discussioni e gli scontri tra la storiografia accademica, monumentale, événementielle e quella della longue duréé, della vita quotidiana, degli usi e delle mentalità collettive erano ancora di là da venire.

Dispiace perciò che su questo libro oggi pressoché introvabile, tanto da essere considerato un bene antiquariale, e sul suo autore siano caduti un certo oblìo e una certa dimenticanza. Di qui l'idea di reagire: "Comprendere una cosa storicamente, diceva Ernst Schöen, significa concepirla come una reazione, un confronto". Reagire, proponendo una rivisitazione della figura e dell'opera di questo grande studioso, non foss'altro per il debito morale contratto con lui fin da quando volle fare del Comune di Firenze il destinatario della donazione del suo archivio e della sua biblioteca e lo volle in qualche modo riconoscere come erede legittimo di quell'antico libero comune che era stato il principale oggetto delle sue quarantennali ricerche ed era da lui visto anche come il depositario di quel misterioso genius loci di Firenze a cui con parole commosse aveva dedicato fin dall'inizio, nel 1896, la sua opera principale:

Ultimamente dalle rovine del vecchio centro della città, la terra assai più degli uomini fedele custode delle memorie del passato, ridava alla luce una pietra votiva "al Genio della colonia di Firenze": oggi, compagno a quell'ignoto che diciotto secoli fa intitolava così il suo marmo, uno straniero, a quel Genio medesimo, con la stessa devozione, offre e consacra l'opera sua.

Resta da domandarsi se il Comune sia stato all'altezza di questo compito e di questa responsabilità. E' vero infatti che, dopo il perfezionamento della donazione nel 1937 e dopo le traversìe politiche e belliche degli anni immediatamente successivi, già nei primissimi giorni del 1945 il Comune di Firenze e il sindaco di allora, Gaetano Pieraccini, promossero con decisione la traduzione italiana completa del capolavoro di Davidsohn presso Sansoni (era stato il suo principale desiderio e una delle condizioni del suo lascito): quella grande edizione sansoniana ormai introvabile, di cui si sente tanto la mancanza e di cui si desidererebbe una ristampa a beneficio del maggior pubblico e dei tanti appassionati di Firenze.

E' anche vero però che dopo questo sforzo iniziale, il fondo cadde per molti decenni nell'abbandono e soltanto di recente abbiamo potuto avviare la catalogazione sistematica e la trascrizione dei manoscritti, per constatare che il manoscritto originale della Geschichte von Florenz con le schede e gli appunti di corredo (la parte forse più significativa), dopo essere stati consegnati alla Sansoni per favorire la traduzione, non erano più tornati indietro, né se ne poteva ricostruire la destinazione finale.

Del lavoro di recupero che si sta comunque compiendo abbiamo voluto dare un'anticipazione (cui seguirà un più corposo volume col catalogo della sua biblioteca e l'inventario dei suoi manoscritti, oltre a saggi e testi critici) con questa piccola pubblicazione realizzata in vista della giornata di studi dedicata a Davidsohn, sperando in un ritorno di attenzione sulla sua opera e sulla sua personalità. Che non era quella di uno storico tardo positivista (un luogo comune dovuto alla scarsa frequentazione dei suoi scritti), ma quella di un grande intellettuale centro europeo e cosmopolita degli anni tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, con in più una vena di anticonformismo e di antiaccademismo per la sua condizione di outsider: non aveva percorso la carriera accademica, faceva parte della grande borghesia ebraica di lingua tedesca e aveva imparato a scrivere facendo il giornalista in un giornale spiccatamente liberale come il Börsencourier di Berlino.

Della molteplicità dei suoi interessi, della capacità di essere in presa diretta coi temi di punta della cultura del suo tempo, in quegli anni così importanti, fanno fede, per esempio, i suoi costanti rapporti con Aby Warburg: rapporti che si accentuarono durante il loro contemporaneo soggiorno a Firenze, ma comunque mai interrotti. Lo testimoniano le numerose lettere di Davidsohn a Warburg presenti nell'archivio dell'Istituto Warburg a Londra e la presenza nella sua biblioteca di prime edizioni originali delle opere di esponenti della scuola iconologica, da Saxl a Panofsky a Wittkower, oltre a Warburg stesso.

Tra i molti testi inediti contenuti nel fondo, ne sono stati scelti, per questo piccolo ricordo, due che si caratterizzano per il tono brillante e giornalistico, ma anche per la capacità di rappresentare la figura intellettuale di Davidsohn. Uno di essi, Dialogo con Dio, è un curioso esempio di teologia negativa, condotto sul filo di una garbata ironia, che sa anche far trasparire momenti di pathos e di indignazione etica e che ricorda i toni della nostra grande tradizione illuministica e razionalistica. L'altro, Il popolino di Firenze nel recente passato, è un ritratto spiritoso e affettuoso della vita popolare di Firenze tra fine Ottocento e primi del Novecento, oggi definitivamente morta e sepolta, ma di cui coloro che si aggirano intorno ai cinquant'anni conservano un vago ricordo assieme alla consapevolezza che, per qualche misterioso legame, quei rumori e quelle atmosfere non erano disgiunti, ma erano anzi il necessario contrappunto della grazia e della bellezza che costituivano il mito e il simbolo di quella città, a cui oggi ci è toccato rinunciare. Del resto lo sapeva bene anche Davidsohn che in una lettera ad Heinrich Brockhaus, primo direttore del Kunsthistorisches Institut di Firenze, scriveva:

La Firenze che lei amava non esiste più. E' stata sostituita da un fracasso terribile che ha rivelato il carattere piccoloborghese di questa città che fa dimenticare la grazia dei tempi passati.

Così come lo sapeva Aldo Palazzeschi, che, in apertura al memorabile volume su Firenze scomparsa di Edoardo Detti, diceva:

Nessuna delle nostre città, forse, è cambiata quanto Firenze, giacché è cambiata nello spirito oltre che nelle consuetudini, e nel fisico stesso della popolazione.

E aggiungeremmo noi: nelle voci, nei gesti e nelle parole anche sguaiate che testimoniavano la perdurante vitalità dell'insieme.

Così, coi suoi scritti inediti, Davidsohn tributa ancora una volta il suo ennesimo omaggio alla nostra città e, per suo merito, l'immagine oggi scomparsa di quello che un tempo fu uno dei luoghi supremi dello spirito ritorna a noi attraverso gli odori e le grida del suo popolino, nell'unico modo realmente eterno e indistruttibile, senza il quale non può esserci nessun futuro: in quello della memoria.

Stefano Mecatti Dirigente del Servizio Biblioteche e Archivio
 





Robert Davidsohn
Giornalista, storico e spirito libero

Immortale è il nome di Robert Davidsohn (Danzica 1853 - Firenze 1937) e indissolubilmente intrecciato con la storia di Firenze. Tre anni prima di morire, nominò il Comune di questa città, ogetto dello studio di una vita, erede del suo materiale scientifico e delle sue carte. Custodito nella Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, il lascito oggi consiste in una parte della sua biblioteca, in manoscritti e dattiloscritti di saggi di sua composizione. Tra questi manoscritti si trovano inoltre, rilegati a modo di libro, appunti delle lezioni e brani tratti da libri di storia relativi al periodo dei suoi studi universitari a Heidelberg. Di notevole importanza sono anche le sue contabilità tenute sotto forma di diario, che riguardano il periodo che va dagli ultimi anni dell'Ottocento al 1914. Di tutto il materiale che costituiva gli studi preparatori e le varie stesure della sua opera Storia di Firenze, la quale fu pubblicata tra il 1896 ed il 1927 in quattro libri divisi in sette volumi e che fu accompagnata dalle Forschungen, le quali contengono le regeste e i documenti da lui utilizzati, pubblicate tra il 1896 e il 1908, non è rimasta più alcuna traccia, escluse una regesta e due trascrizioni di fonti non fatte da Davidsohn. Ancora nel 1922 Davidsohn faceva menzione nella prefazione alla prima parte del suo quarto libro, intitolato I Primordi Della Civiltà Fiorentina della sua ricca raccolta di copie e trascrizioni di documenti custoditi negli archivi italiani, che trasportò con sè durante la prima guerra mondiale prima a Monaco di Baviera e poi a Basilea. Tra le perdite più dolorose si annovera quella dell'epistolario, una volta sicuramente ricco e a tutt'oggi non ritrovato, di cui restano solo alcune lettere scoperte nei suoi libri che tuttavia ci mostrano parte della sua sicuramente vasta corrispondenza con studiosi di diverse dicipline. Date le gravi perdite già subite, è essenziale conservare e studiare il materiale pervenutoci con la massima cura. Nonostante le grandi lacune, esso è ancora sufficiente per costituire, insieme alle numerose pubblicazioni sparse in varie riviste e giornali, una base su cui fondare ulteriori ricerche. Diversi elementi, come per esempio le lettere mandate dal Davidsohn al famoso Kulturhistoriker Aby Warburg nel periodo dal 1902 al 1918 e che si trovano nel Archivio di Warburg a Londra, di cui al momento possediamo solo un estratto, permetteranno un valido approfondimento della conoscenza di questa straordiaria persona, sia come uomo che come scienziato.

Dal curriculum vitae conservato nell'archivio dell'università di Heidelberg, sappiamo che Davidsohn già precocemente aveva sentito il desiderio di compiere studi universitari, ma che ciò non fu allora possibile in quanto, per motivi economici, non aveva potuto frequentare il ginnasio. Solo successivamente i suoi due fratelli, notevolmente maggiori di età, gli poterono permettere di studiare per circa due anni al famoso Königlichen Realgymnasium di Berlino. Già nel 1868 però, fu costretto a lasciare la scuola per entrare contro la sua volontà in una azienda commerciale della sua città natale. Dopo la conclusione del suo apprendistato gli si aprì, grazie all' aiuto di suo fratello George che faceva il giornalista e aveva fondato a Berlino nel 1868 il Börsen-Courier, un giornale allora molto noto, la possibilità di entrare come impiegato in una delle maggiori banche di Berlino. Fin da quando aveva compiuto diciasette anni e aveva iniziato occasionali collaborazioni con quotidiani, con cui in parte già si guadagnava da vivere, mostrò di avere una naturale inclinazione per il giornalismo, a cui dette seguito nel suo ventesimo anno di età dedicandosi interamente a questa professione. Dapprima scrisse per un autorevole giornale finanziario di Francoforte sul Meno, quindi, nel 1873 iniziò la sua attività nel giornale del fratello e successivamente lo diresse insieme a lui, divenendo il resposabile delle rubriche di cultura e politica. Dal 1876 in poi l'azienda divenne di sua esclusiva proprietà a causa di circostanze al momento ancora non conosciute, e riuscì a darle impulso e sviluppo fino a rendere il Börsen-Courier uno dei più conosciuti e apprezzati giornali di Berlino. Per motivi di salute dopo undici anni di attività fu costretto a vendere l'impresa a una società per azioni, di cui suo fratello George assunse la direzione. Le contabilità rimaste nel suo lascito, documentano minuziosamente l'attività del Davidsohn come investitore di borsa; questo ci permette di supporre con una certa fondatezza che, dopo la vendita del giornale, avesse investito il capitale risultante in titoli e azioni e che, in questo modo, fosse in grado di sostenersi.

Già prima Davidsohn aveva viaggiato in Svizzera, Inghilterra, Romania, Danimarca e Norvegia; un soggiorno più prolungato in Italia divenne, come dice nel suo curiculum, una guida per le sue future decisioni:

"Il godimento dei monumenti architettonici e d'arte e del paesaggio in Italia richiede, se non deve essere del tutto esteriore, un interesse più approfondito per il passato."

I suoi ricordi di viaggio - che originariamente aveva scritto sotto forma di lettere indirizzate ad un giornale - furono pubblicati in un libro dalla berlinese casa editrice Freund und Jeckel nel 1884, con il titolo Vom Nordcap bis Tunis. Reisebriefe aus Norwegen, Italien und Nord-Afrika. Fu in seguito a questo soggiorno che Davidsohn concepì il progetto di prendere casa a Firenze per poterne studiare più minuziosamente la storia. Dalla conoscenza dello storico Ferdinand Gregorovius (Neidenburg 1821 - Monaco di Baviera 1891), celebre autore della Storia di Roma nel Medioevo che fu pubblicata negli anni dal 1859 al 1872, Davidsohn prese l'impulso per un analogo lavoro sulla città di Firenze. Gregorovius, che era diventato un amico stretto e quasi un padre per il Davidsohn, gli consigliò di compiere regolari studi universitari in storia. Nonostante avesse già compiuto trentatrè anni e fosse sposato con la cantante d'opera Philippine Collot (1847-1947) egli mise in pratica questo suggerimento. In grande fretta, in solo sette mesi, sotto la guida del professore Wichmann, a Firenze, perfezionò la sua conoscenza del latino e intraprese lo studio del greco che riuscì in gran parte a completare. In questo periodo allogiava in via della Pace, n. 9. Nel semestre estivo del 1886 Davidsohn si immatricolò all'università di Heidelberg e si laureò dopo due soli anni, nel 1888, con una tesi su un argomento di storia medieovale francese "Philipp II. Augustus von Frankreich und Ingeborg" riportando la votazione "summa cum laude". Nell'anno seguente, il 1889, si stabilì definitivamente con la moglie, che chiamava affettuosamente Fili, a Firenze. All'inizio andò ad abitare nel viale Regina Vittoria, n. 21 e successivamente, fino alla prima guerra mondiale, in via dei della Robbia, n. 56. Soltanto dopo il suo ritorno a Firenze, che dovette lasciare durante gli anni della guerra, nel 1919, andò ad abitare in una villa al Bobolino, in via Michele di Lando, n. 3. Le sue contabilità dimostrano la sua appartenenza a numerose società scientifiche e rispecchiano interessi ampiamente diversificati e un senso sociale particolarmente spiccato, che si accordava con la sua posizione politica di liberale di sinistra. All'Istituto Germanico di storia dell'arte Davidsohn era collegato tramite la sua appartenenza alla associazione di esso promotrice, alla realizzazione dei cui fini concorreva, facendo parte dell'Ortsausschuß di detta associazione a Firenze. Davidsohn ne fu membro fino al 1905, anno in cui sembra che, a causa di dissensi, uscisse da questo consiglio. Dal settembre 1924 fu di nuovo membro dell'Ortsausschuß e i suoi collegamenti documentabili coll'istituto continuarono almeno fino al 1929.

Dalle "Lettere di viaggio" possiamo riscontrare che Davidsohn fu già a prima vista affascinato dalla città di Firenze, per la sua bellezza e per la vivacità dei suoi abitanti. Con un grande spirito d'osservazione descrisse le feste di Ognissanti e dei Morti il primo e il due Novembre:

Oggi è il giorno dei morti - ... . la vita festeggia la morte; ma non con lagnanze ed esclamazioni di dolore, non con lacrime e deprimenti arzigogoli. La vita divertente fa visita alla morte solenne, e gli porta un poco della sua allegria, dei suoi fiori, del suo fasto - e la vita si sollazza del tutto squisitamente alle spalle della morte."

Raccontando la relazione del popolo di Firenze coi sepolcri ed i morti, arriva poi ad un'immagine poetico-grottesca, che ci fa arguire come Davidsohn avesse già da allora il pensiero di prendere residenza in questa città sull'Arno:

"Ma se esistesse una vita degli spiriti ..., se le anime avessero davvero l'occasione di stare sedute sulla loro pietra tombale ogni giorno un'ora su ventiquattro, ..., allora esigerei, che da nessun altra parte mi si seppelisse, se non nell' incantesimo di san Miniato, ... . Poi nelle notti rischiarate dalla luna vorrei guardare giù il fiume e la città, il campanile marmoreo di Giotto e la cupola di Brunelleschi, i palazzi e le chiese, inondati dal chiaro di luna,della città di Dante e dei Medici, le alture e le valli lontane. E se quest'anima, che una volta apparteneva a un peccaminoso scrittorello, avesse già visto le delizie del paradiso celeste, ancora inebriata e beata dovrebbe guardare giù a questo paradiso terrestre, alle rive dell'Arno ed ai piedi dell'Appenino."

Firenze per Davidsohn rappresentava una città che ancora non aveva interrotto i suoi legami con il passato e che aveva mantenuto per secoli una certa continuità nelle sue strutture sociali ed economiche nonché le sue tradizioni e riteneva che fosse possibile comprendere tutto ciò impegnandosi nello studio della sua storia. L'afflizione per i mutamenti intervenuti dopo la prima Guerra Mondiale a causa del cambiamento di valori nella società, mutamenti che lo avevano colpito anche personalmente, era palesata da Davidsohn nel 1922 nella prefazione al suo quarto libro I Primordi della Civiltà Fiorentina ed ancora nel 1926, in una lettera di condoglianze al primo direttore dell'Istituto Germanico di Storia dell'Arte di Firenze, Heinrich Brockhaus, in occasione della morte di sua moglie Else Brockhaus:

"La Firenze che lei amava non esiste più. E' stata sostituita da un fracasso terribile che ha rivelato il carattere piccolo borghese di questa città che fa dimenticare la grazia dei tempi passati."

Spinto da questa convinzione da lui dolorosamente maturata, Davidsohn si decise negli ultimi anni della sua vita, a scrivere un saggio sui tempi andati, che si intitolava Il popolino di Firenze nel recente passato, che è conservato nel lascito e qui trascritto e pubblicato per la prima volta. Che non si tratti di un accesso nostalgico della sua età senile, ma di un saggio che prende un posto ben preciso nella sua opera, è cosa che si desidererebbe qui dimostrare.

Era stato possibile sviluppare un quadro così vivace di questa città dalle sue origini fino al Trecento soltanto mediante un paziente lavoro, che prendeva in considerazione ogni piccolo dettaglio; e così ora il saggio stesso diventava, scritto nello stile di un feuilletons, un documento di quegli aspetti della vita quotidiana della sua epoca che minacciavano di scomparire irrimediabilmente senza lasciare alcuna traccia per le generazioni a venire. In tutto questo si mostra una comprensione della la storia nel suo senso più pieno che Davidsohn stesso ha esplicitato nel suo saggio Vom Mittelalter zu unseren Tagen, che fu pubblicato nei Süddeutsche Monatshefte nel giugno 1915:

"Solo chi può mettere le cose più vicine e remote in una relazione vitale, può, squarciando la superficie, essere in grado di interpretare lo svolgimento dei fatti, ... ."

Facendo un confronto con la seconda parte del quarto libro I Primordi Della Civiltà Fiorentina, ci si può accorgere dei notevoli parallelismi esistenti.

Nel capitolo Le Arti come corporazioni si trova ad esempio la descrizione dei Rigattieri, col loro commercio di "vecchi vestiti e vecchie pellicce", che ricorda in parte l'illustrazione così vivace della vita dei Cenciaiuoli nel saggio. Anche alla categoria sociale dei mendicanti, e più in generale ai paria della società, presta molta attenzione. Già nelle sue "Lettere di viaggio" Davidsohn si interessava in modo particolare a questa casta. Egli descrive l' attività dei piccoli venditori ambulanti, simile ad una fiera, che offrono la loro mercanzia e quindi ci parla dei mendicanti ,che lo spingono ad affermare:

"... - se Firenze ancora non avesse già il nome dei Medici, si potrebbe chiamarla a buon diritto la città dei mendicanti con un occhio solo - ... .".

Proprio questa misera parte della popolazione, descritta non senza un po'di ironica comprensione, mostra chiaramente, con il suo modo di essere e di comportarsi, come continuassero in certa misura a sussistere ancora le strutture della società formatesi nel medioevo e che in altri luoghi stavano già dissolvendosi. Un' immmagine molto viva di ciò - con riferimento al suo proprio tempo - si può trovare nella prima parte del quarto libro I Primordi della Civiltà Fiorentina nel capitolo Costituzione e Amministrazione. - Il problema dei poveri. Elemosine cittadine. Anche qui nomina, come nel saggio, i racconti trecenteschi del novellista Franco Sacchetti (Ragusa 1330-Firenze 1400), in cui vedeva probabilmente anche una persona che aveva vissuto, sotto certi aspetti, una vita simile alla sua; e nello stesso modo rammenta anche il frammento di un affresco di Andrea Orcagna (1308? - 1368?) ritrovato nel 1911 nella nave minore destra di Santa Croce, che rappresenta quattro mendicanti e che faceva parte dell' affresco Il trionfo della morte ancora menzionato dal Vasari. La scoperta aveva destato un grande interesse tra gli storici dell'arte dell' Istituto Germanico ed anche in Davidsohn, come risulta da certe notizie riguardanti la sua persona.

Il suo metodo di ricostruire la storia basandosi anche su fonti letterarie ed opere d'arte costituisce una parte importante del lavoro di Davidsohn; perciò ricorreva con frequenza anche ad altre discipline e usava spesso un proprio linguaggio e paragoni, che gli permettavano, con la massima pregnanza e concisione, di fornire immagini suggestive e circostanze di fatto; fra le discipline da lui utilizzate per la sua opera storica si può annoverare anche la musica, che era, assieme a Dante Alighieri di cui si occupava intensamente nei suoi scritti, una delle sue grandi passioni. Davidsohn era membro della Società Dantesca Italiana ed era stato, già al tempo della sua prima visita a Firenze, a Ravenna, la città in cui Dante visse in esilio e morì, come riferisce al lettore delle sue "Lettere di viaggio". Nel saggio presente ricorda questo immortale poeta nel piccolo episodio del mendicante che chiede l' elemosina durante la raccolta delle olive. La vita, la storia di una città come ci dice con vigore tramite la citazione del Faust di Goethe, ha tante facce che da molti non sono conosciute o adeguatamente comprese e che sono perciò anche presto dimenticate. - Sul Faust di Goethe Davidsohn aveva sentito una intera lezione all'università di Heidelberg, come ancora ci informano i suoi appunti, e Goethe doveva avere per Davidsohn una importanza analoga a quella di Dante, in quanto lo si trova citato più di una volta nei suoi scritti.

L'amichevole rapporto tra i coniugi Davidsohn e la scrittrice tedesca Isolde Kurz (1853-1944), la quale visse dalla fine dell'Ottocento fino al 1914 a Firenze, è in questo contesto probabilmente di non poca importanza. Infatti Isolde Kurz applica in modo particolare il suo spirito di osservazione al mondo della "piccola gente" nei suoi Italienische Erzählungen (1895) La sua approfondita conoscenza degli studi storico culturali su Firenze, da cui nasceva una grande precisione nel ricostruire i contesti in cui si svolgevano le sue narrazioni, si riversò nei suoi libri Florentiner Novellen (1890) e Die Stadt des Lebens. Schilderungen aus der florentinischen Renaissance (um 1902). In un esemplare delle "Schilderungen" che è conservato nella biblioteca dell'Istituto Germanico di Storia dell'Arte si trova un dattiloscritto, collocato sul risguardo e intitolato Florentiner Erinnerungen (Ricordi fiorentini). Si tratta di una caratterizzazione del "Fiorentino", comprese le sue consuetudini, rispetto "l'Italiano comune". E proprio qui si può leggere l'affermazione che interessava e commuoveva così tanto Davidsohn: "..., perché il Fiorentino non è un uomo moderno.". Ciò che Jacob Burckhardt aveva sostenuto nella sua opera Die Cultur der Renaissance (1860), cioè che Firenze è il prototipo dello stato moderno, e il fiorentino quello dell'uomo moderno, è, in riferimento ai loro tempi, smentito ed anzi esattamente contraddetto. L' opera di Jacob Burckhardt era per Davidsohn sicuramente di una certa importanza. Infatti diverse opere di questo autore si trovano nella sua biblioteca. A questo proposito sono da ricordare le lettere e un dettagliato rapporto alla Kölnische Zeitung di Burckhardt, in cui si tratta della città di Roma nella sua fase di trasformazione da "Roma aeterna" a "Roma capitale", processo al quale egli potè assistere di persona. Qui possiamo leggere descrizioni della vita quotidiana romana, della mendicità e del diffuso ozio, che non sono del tutto estranei alle raffigurazioni di Davidsohn. Varrebbe sicuramente la pena - a parte i rapporti storiografici - di paragonare gli scritti sull'Italia della loro epoca di Burckhardt, Gregorovius e Davidsohn.

Un ancora più profondo e fertile scambio scientifico e umano si trova nell'amicizia tra Aby Warburg e Robert Davidsohn. Di essa possiamo avere certezza in base alle dediche, ai biglietti e alle lettere conservate e, ancor più, per i giudizi scientifici sui propri scritti che Warburg richiedeva al Davidsohn. Perciò probabilmente non è casuale che Davidsohn, nella sua descrizione del Il popolino di Firenze nel recente passato, arrivi a una rappresentazione monumentale delle figure come a Warburg era riuscito nel suo studio Bildniskunst und florentinisches Bürgertum (1902), che l' autore dichiarava essere "un'aggiunta" al saggio Das Porträt in der italienischen Malerei (1895) di Jacob Burckhardt,contenuto in Beiträge zur Kunstgeschichte von Italien (pubblicato 1898), da cui però riteneva che si differenziasse in modo sostanziale a causa del suo nuovo metodo storico-culturale sintetico. Nella premessa di Warburg ai suoi studi, dei quali fa parte il saggio sopra indicato, e che egli aveva già scritto nel novembre 1901, inseriva la seguente dedica:

"Agli amici consiglieri e colleghi fedeli degli anni di lavoro a Firenze vogliano essere queste pubblicazioni benvenute come una manifestazione dello stesso spirito mostrato da Heinrich Brockhaus e Robert Davidsohn nella loro vita che hanno dedicata intera al continuo e approfondito studio delle fonti della cultura fiorentina."

In questo tempo Davidsohn si era già occupato come storico di due studi sul ritratto di Maddalena Doni riguardanti il periodo della sua esecuzione e il probabile autore: Das Ehepaar Doni und seine von Raffael gemalten Porträts nonché Raffaels Porträt der Maddalena Doni, tutti e due sono stati pubblicati nel 1900 sul Repertorium für Kunstwissenschaften.

Non solo numerosi interessi comuni - dei quali non è qui possibile trattare - ma anche il metodo di lavoro, cioè il comune amore per un osservazione precisa fino al dettaglio, senza però mai perdere di vista le cose principali e la commistione di discipline diverse, che diventa indispensabile per uno studio storico-culturale, come anche un senso particolare per un linguaggio metodicamente adoperato collegano queste due persone. Entrambi si prendevano cura di arrivare ad un pubblico di ampia portata, e pubblicavano oltre che sulle riviste specializzate, anche su giornali di larga diffusione come ad esempio Davidsohn sui Prussische Jahrbücher r sul Marzocco. Oltre a questi collegamenti ci sono punti di contatto biografici. Uno di questi è la loro comune origine ebraica. Si sa che Warburg, malgrado prendesse posizione sul problema ebraico e sull' antisemitismo raramente e solo in modo molto discreto, si preoccupava fortemente di ciò. La posizione personale di Davidsohn ci è ancora meno conosciuta. Più volte aveva parlato nei suoi saggi della crescita dell' antisemitismo nell'epoca guglielmina e aveva avuto scontri, ancora docunentabili, col conservatore, antiliberale e accanito antisemita Adolf Stoecker (1835-1909), predicatore della corte prussiana e dal 1875 a Berlino, che portarono il Davidsohn a un processo che finì con la condanna dello scrittore ad una multa. Davidsohn si è occupato del giudaismo in diverse occasioni sia a proposito del senso storico che del suo futuro di questo, e di ciò ci sono rimaste testimonianze nella sua biblioteca. A Warburg e Davidsohn, nella loro posizione di studiosi liberi, è stato possibile fare ricerche particolarmente scrupolose sugli avvenimenti oggetto del loro interesse, tuttavia questa loro particolare posizione era probabilmente dovuta alla comune origine che impediva loro una regolare carrriera universitaria. Essi rimasero, per usare una terminologia attuale, degli outsider che dovettero battere altre vie. Perciò il Davidsohn, ad esempio, era solito dare conferenze all'Università Popolare di Firenze. A causa della sua grande e meritata fama come storico gli furono conferiti i titoli onorifici di commendatore e professore e fu nominato cittadino onorario di Firenze.

GNOTI SAUTON
è la quintessenza di tutta la religione;
la parola era iscritta sopra un santuario
(Ernst Hohenemser)

Pubblicato per la prima volta, il saggio Dialogo con Dio, scritto probabilmente due anni prima della morte dal Davidsohn in un modo assai personale e poetico, ci permette una conoscenza più profonda della fede di Davidsohn e dei suoi rapporti colla religione, in quanto, fin ad ora, era conosciuta solo una sua posizione fortemente anticlericale.

Sotto forma di un sogno popolato di angeli che allontana il narratore dall' infelice stato umano, il contenuto rappresenta una confessione che fa sospettare una tendenza per lo gnosticismo. Risvegliatosi dal sogno un'altra volta nell'esistenza terrena, gli sembra che nella vista del giardino, nell'incanto della natura, che prende la sua forza dalla terra, e soprattutto dal sole, si riveli la divinità; e ciò gli infonde un senso di felicità. La descrizione di Dio all'inizio del saggio, come "l'Unico-Bene", pieno di sollecitudine per l'uomo, ci appare come la descrizione di un quadro, e corrisponde più a una immagine dell'arte cristiana post medioevale, se non perfino a una romantica immagine dell'Ottocento, che non all'idea del Geova adirato e vendicativo dell'Antico Testamento; anche perché secondo i convincimenti ebraici l'immagine di dio non è rappresentabile in alcun modo. Tramite la metafora del trono si esprime l'unicità e l'irraggiungibilità della divinità, a cui non ci si può avvicinare nè tramite un qualche monarca divinizzato, al modo delle antiche civiltà orientali, né attraverso qualcuna delle grandi religioni della storia (Davidsohn richiama qui la setta islamica dei Ismailiti, la quale credeva che, tramite una gerarchia artificiosamente costruita facente capo ad Adamo e proseguente via via nel corso dei tempi, potesse essere svelata in modo sempre più perfetto e completo all' umanità la natura divina, pur ammettendo una indefinita durata di tale processso di progressiva rivelazione.) La questione che si è sempre posta l'umanità circa la natura della divinità e circa la sua relazione con il mondo terreno è risolta da Davidsohn mettendo la risposta in bocca a Dio stesso: nel momento in cui Dio viene inserito in qualche costruzione intellettuale umana e in qualche religione, esso diventa una pura e semplice creazione della mente dell' uomo. Coll'affermazione socratica "conosci te stesso" l' autore sembra voler lasciare aperta all' uomo saggio una via per giungere in qualche modo alla divinità del tipo di quella prospettata dallo gnosticismo che, in ultima analisi, al di là delle sue costruzioni più o meno fantastiche, suggeriva, al modo degli antichi greci, di cercare le tracce di dio in quel che c'è di positivo nella natura umana. Davidsohn stacca in modo netto l'essere divino dal funesto disordine umano e per lui ognuna delle religioni create dall'uomo, dimostra crudeltà e superbia, non esclusa quella ebraica. Religione per lui significa un' unica grande macchina di sterminio dell'umanità.

Nell' archivio della Comunità Ebraica di Firenze è conservato un biglietto postale da cui si può apprendere che Davidsohn rifiutava rigorosamente il sionismo che si era fortemente sviluppato alla fine dell'Ottocento ed il cui scopo era la fondazione di uno stato ebraico in qualche parte del mondo da stabilirsi. Egli si diceva però volentieri disposto ad alloggiare persone che fossero perseguitate per motivi religiosi o di origine. Questo biglietto è stato spedito dal Davidsohn da via Michele di Lando il 14. Settembre 1935:

"Prego la Communità Israelitica di non volere molestarmi, come ora succede, con quasi giornalieri invii di réclames per pubblicazioni di diverso genere, per collette ecc. Tutto questo è completamente inutile, tutto va in cestino. Non faccio abbonamenti, non ho interesse per il zionismo. Pago il mio contributo, e questo dovrebbe bastare. E se non riesco a liberami di queste noie, sarebbe (contro mia volontà!) il caso di perdere anche questo. Questo però non esclude, che io, dove posso, volentieri aiuto quelli, che, fortunatamente resto in Italia, vengono perseguitati per la loro religione o per la loro origine. Ma mi è molto antipatico, che tale tristissima congiuntura viene sfruttata per scopi affaristici!"

Dev. Mo
Comm. Prof. Dr. Robert Davidsohn

Il fatto che Davidsohn pagasse i suoi contributi alla Comunità Ebraica, mostra chiaramente come egli riconoscesse tale fede, probabilmente anche perché legata alla sua identità e alla sua tradizione familiare, anche se non la praticava, forse anche perchè sua moglie faceva parte della chiesa evangelica; infatti nelle sue contabilità troviamo registrate contribuzioni per il fondo evangelico di aiuto per le donne. Pertanto i coniugi furono seppelliti in un cimitero protestante: nel così detto "Cimitero degli Inglesi". Davidsohn aveva probabilmente perso una grande parte del suo patrimonio a causa della prima guerra mondiale e della conseguente svalutazione monetaria, perché nelle liste dei contributi della Comunità Ebraica appare nei suoi ultimi anni di vita come figlio di Hegas con un reddito di 9.000 Lire all'anno; il che in paragone al redddito del proprietario di una piccola casa editrice che èdi 150.000 lire all'anno, indica una appena modesta vita borghese. Probabilmente anche la dedica al grande collezionista di antichità James Loeb e a sua moglie, che Davidsohn nomina nella prima parte del suo quarto libro Storia di Firenze come filantropi, entra in questo contesto; c'è da presumere che essi abbiano reso possibile il ritorno del Davidsohn e di sua moglie Fili a Firenze donando loro la villa in via Michele di Lando. Questo spiegerebbe anche, perché non ci sono state conservate altre contabilità che quelle fino al 1914: il suo patrimonio era evidentemente divenuto così piccolo, che non ve ne era più bisogno.

Ritornando a quanto Davidsohn afferma nel saggio "Dialogo con Dio", il dio, che l'uomo ha creato a sua immagine, a misura dei suoi bassi desideri, è un dio inventato. La vera divinità non ha niente a che da fare con questo; essa permane remota in uno stato di quiete, "beata dal vero crepuscolo degli dei"; questa è la conoscenza riportata alla fine del sogno. Davidsohn stabilisce qui un nesso con l'opera di Wagner "Ring der Nibelungen", e precisamente col terzo giorno detto "crepuscolo degli dei", in cui la liberazione di Dio e del mondo trova la sua realizzazione nella finzione scenica. Come sappiamo il Davidsohn era "Wagnerianer" il che si dimostra chiaramente da una dedica, scritta in versi da suo fratello George il 26 Aprile 1888, che si trova in un libro che gli dette prima della sua partenza per l'Italia e che contiene lettere che si scambiarono Richard Wagner e Franz Liszt:

"Da ciò parla l'uomo, da questi valori
Ci sgorga ricco e limpido e luminoso,
Nell' invidioso e litigoso mondo per rinvigorirci,
dalla sorgente della verità e della beltà."

Dalla arringa, che fu pubblicata, che Davidsohn tenne, contro l'accusa di diffamazione a mezzo stampa mossagli dal filosofo Eduard Hartmann, davanti al tribunale della città di Berlino, il primo luglio 1876, noi sappiamo che proprio i valori umani come amore, speranza, onore nonché godimento artistico e conoscenza significavano per lui l'essenza della vita; valori che, al contrario, Hartmann dava per inesistenti.

Nonostante che Richard Wagner e sua moglie Cosima assumessero un atteggiamento antisemita, gli ebrei che sentivano in un modo nazionale e patriottico continuarono ad entusiasmarsi per l'opera di Wagner. E così anche George Davidsohn aveva stabilito nel suo testamento, la cui esecuzione aveva affidato al fratello Robert, - come ci dicono le contabilità - che fosse data una certa somma a beneficio di Cosima Wagner e del suo fondo per le borse di studio a Bayreuth. C'è da aspettarsi, che nell'archivio di Wagner a Bayreuth si trovi una corrispondenza tra Cosima Wagner ed i fratelli Davidsohn; anche perché essa è stata dopo la morte del marito diverse volte in Italia ed inoltre sua figlia Daniela era sposata con lo storico dell'arte Henry Thode, che viveva a Firenze. Questa coscienza nazionale, che in Robert Davidsohn si allarga in una sensibilità europea, è coerente colla sua dichiarazione di ricusare il sionismo, veementemente formulata.

Anche oggi, e proprio oggi, in un'epoca così instabile e di vita febbrile, Davidsohn ci fa pensare: si può essere europei e cosmopoliti e nello stesso tempo amanti dei luoghi pieni di tradizioni e delle cose tipiche che possano darci la nostra identità. Ma ci vuole tempo per riflettere; un fatto che Davidsohn aveva già notato in un'altra occasione, quando si dedicò a un saggio, scritto nella sua tarda età , che si intitola Conversazione nell' ora crepuscolare e di cui purtroppo ci è rimasto solo un frammento:

"..., solo gli uomini introspettivi possono permettersi di avere il senso del passato come uno dei più nobili godimenti, i più però non hanno il tempo per fare ciò ed anche poca simpatia per esso."

Wiebke Fastenrath Vinattieri
(Trad. dell'Autore)